Alberto di Grésy: «Il vino crea legami di bellezza»

Magazine

Alberto di Grésy: «Il vino crea legami di bellezza»

31 Agosto 2023

Alberto di Grésy racconta i 50 anni delle Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy e il suo rapporto con le colline del vino: una storia di famiglia che risale al XVII secolo e che nel 1973 ha avuto il suo battesimo ufficiale.


«Le avversità non ci hanno mai spaventato. La nostra prima vendemmia è il 1973, l’anno successivo alla più disastrosa annata del Barbaresco, il terribile ’72, quando l’intera produzione, a causa del meteo avverso, venne declassata. Nel 2019, pochi mesi prima della pandemia, abbiamo inaugurato l’agriturismo Dai Gresy a Treiso, vista Langhe e Alpi, che oggi marcia a pieno ritmo».

Inizia così la chiacchierata con Alberto Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy e Casasco sui 50 anni delle Tenute che portano il suo nome. Nome lunghissimo, come lunga è la storia della famiglia e il rapporto con le colline di Langa che Alberto frequenta sin da bambino e che, in qualche modo, hanno segnato la sua vita. Alberto è una delle figure chiave del rinascimento del Barbaresco, un uomo dai mille aneddoti e dall’ironia sottile, capace di coniugare l’eleganza delle nobili origini alla pragmaticità dei «Langhetti». Soprattutto, capace di dare volto e corpo a uno dei vigneti più straordinari della denominazione, la Martinenga, cru monopole dei Marchesi sin dal XVIII secolo.


Alberto, come è iniziata la storia dei Marchesi di Grésy a Barbaresco?

I Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy - discendenti dei Marchesi di Grésy-sur-Isère dell’Alta Valle Savoia - frequentano le Langhe fin dal XVII secolo. Nel 1650 a Monte Aribaldo (dove oggi si trova l’agriturismo) possedevano una casina di caccia, uno dei loro svaghi prediletti. Abitavano a Torino, ma avevano possedimenti anche a Cassine nel Monferrato (da Quando Carlo di Gresy sposa Giulia Pellizzari nel 1899), dove oggi sorgono le Tenute di La Serra e Monte Colombo. La Martinenga venne acquisita ufficialmente nel 1797 e, da allora, è sempre stata possesso della nostra famiglia.

Com’era la Martinenga prima del successo del Barbaresco?

Era una tipica cascina di langa polivalente. Veniva gestita da mezzadri che si occupavano di tutto. Coltivavano grano, mais, ortaggi, peschi e noccioli. C’era un allevamento di bucin d’la coscia, i famosi vitelli di Fassone piemontese che vincevano sempre il primo premio alla fiera di Treiso. Ma la Martinenga era famosa soprattutto per le uve: venivano vendute a mediatori locali e prestigiosi produttori della zona, che le tenevano in gran conto. Basti pensare dal 1967 erano vinificate separatamente per ottenere un cru di Barbaresco!

Perché nel 1973 decise di prendere in mano l’azienda?

Avevo 21 anni, allora, mia madre aveva bisogno di una mano nella gestione delle Tenute. La Martinenga, inoltre, rappresentava tutto il bello della mia infanzia. Ero nato a Milano in un periodo di forte espansione industriale. Ricordo ancora che, in città, si respirava letteralmente lo smog delle ciminiere. Quando venivo nelle Langhe sentivo una connessione diversa con la natura: era una vita en plen air, a contatto con la bellezza. Fu però il consiglio dei mezzadri a convincermi definitivamente. «Fate furb matot – mi dissero con lo spirito pragmatico dei contadini – che tai da fe cröta». Ovvero, fatti furbo che qui devi fare il vino se vuoi avere successo.

Che cosa aveva di speciale la Martinenga?

Era – ed è tutt’ora – uno straordinario anfiteatro vitato che si affaccia sul fiume Tanaro, uno degli appezzamenti a corpo unico più estesi della denominazione, con una grande differenza di esposizioni e altimetria. All’interno della Martinenga – già allora – si potevano individuare microclimi, suoli e caratteristiche pedologiche assai diverse. La Martinenga è un mosaico di espressività del Barbaresco, un unico vigneto con molte anime, tutte nobili ed eleganti, che oggi valorizziamo attraverso tre diverse etichette: il Barbaresco Docg Martinenga, la cui prima annata è proprio del 1973; il Barbaresco Docg Gaiun Martinenga, nato nel 1982 come selezione di una parte del vigneto ubicata in direzione della Borgata «Asili». E infine il Barbaresco Docg Camp Gros Martinenga, che è la nostra Riserva: viene vinificato da una parcella del vigneto che confina con la Rabajà e dona un Barbaresco di straordinaria capacità evolutiva.


Quando iniziò a vinificare, quali erano i suoi obiettivi?

Avevo un sogno semplice e chiaro. Volevo invitare le persone che avrebbero degustato i vini dei Marchesi di Grésy a partecipare della bellezza e della bontà di questi luoghi. Negli anni, ho sempre lavorato con questo pallino in testa: la qualità è figlia del lavoro in vigna e io ho la fortuna di coltivare vigne straordinarie. Perché dunque non portare il frutto di questa “straordinarietà” in giro per il mondo?

Ci è riuscito?

La cosa più affascinante del mio lavoro è il riconoscimento che le nostre etichette hanno tra gli appassionati di vino. Ho viaggiato dappertutto e ho trovato persone che mi hanno manifestato il loro apprezzamento. È davvero magico ricevere il supporto di persone che non ho mai incontrato: il legame è dato dal vino che tu hai prodotto e loro hanno assaggiato. Significa che sono riuscito a trasmettere qualcosa, che posso far stare bene le persone attraverso ciò che faccio.

Avete in programma qualcosa per festeggiare i 50 anni dell’azienda?

Nulla in particolare, se non migliorare ciò che sappiamo fare meglio, il vino. Vogliamo continuare a capire e valorizzare il patrimonio vitivinicolo che possediamo tra Langhe e Monferrato, continuando a portare con orgoglio le nostre etichette nel mondo. Accanto a me, inoltre, sta crescendo e maturando un’altra generazione: i miei figli Alessandro e Ludovica che da oltre 10 anni si occupano dell’azienda a tempo pieno.


C’è molta competizione nel mondo dei produttori piemontesi?

In realtà, meno di quello che si pensa. In fondo, a livello globale, siamo un gruppo sparuto di produttori in un’area piccola del Piemonte. Questo ci unisce, ci fa essere un gruppo che cresce insieme, fianco a fianco. Ci confrontiamo per essere più competitivi, per aumentare le competenze e la qualità. Ma ci diamo anche una mano, perché sappiamo che il successo di un produttore può essere da traino per tutto il settore: alla fine, si cresce tutti insieme.

Quali sono i progetti per il futuro, qualche nuova etichetta?

A detta di molti ne abbiamo fin troppe (ride n.d.r.). Vogliamo concentrarci sempre di più sul rispetto dell’ambiente e della biodiversità dei vigneti. Non è soltanto un atteggiamento “green”, ma anche un modo per comprendere sempre più in profondità l’identità dei vigneti, dunque la loro elegante espressione nei vini. Siamo fieri, ad esempio, di essere biologici, anche senza dirlo esplicitamente. Sappiamo che la grandezza di un vino sta nella vigna. L’attenzione alla natura fa la differenza e, soprattutto, aiuta a creare vini del territorio.


Se tornasse indietro cambierebbe mestiere?

Mia moglie ci ha provato. Non molti sanno che sono laureato in Economia e Commercio e ho passato l’esame da Commercialista. Ebbene, lei ha tentato più volte di farmi “fare i conti” e io li ho sempre sbagliati apposta (ride di gusto n.d.r)! Sono sempre tornato alle Langhe, alla mia Martinenga e ai miei vigneti. Sono stato fortunato perché nella vita ho avuto la libertà di fare ciò che amo.

Highlights

Scopri i tour e le degustazioni delle Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy

Read More