14 Giugno 2021
La Maremma non è una sola. È un mosaico di paesaggi: il mare e le pianure sotto costa, i colli verdeggianti di vigneti, le superfici boschive a perdita d’occhio, i borghi solitari e sospesi nel tempo, il Monte Argentario e l’Appennino.
C’è l’Alta Maremma, antica dominazione pisana, che da
Livorno scende fino a Piombino affacciandosi sull’Isola d’Elba. C’è la Maremma
Laziale, a meridione, delimitata dai Monti della Tolfa, che la dividono
dall’Agro Pontino.
E poi c’è il cuore della Maremma, quella grossetana,
chiamata anche Maremma toscana, chiusa tra il golfo di Follonica e il
Chiarone, torrente che segna il confine con il Lazio. È in questa parte di
Maremma che sorgono le colline di Scansano, celebri in tutto il mondo
per il loro Morellino, robusto vino rosso che deve il suo onomastico ai cavalli
«morelli», infaticabili destrieri dal manto scuro che (almeno così vuole la
tradizione) venivano utilizzati nel Medioevo per trainare i nobili della zona.
Le colline di Scansano hanno una storia che risale il nastro
del tempo fino al V secolo avanti Cristo. Terre di Etruschi dediti alla
viticoltura, come dimostrano i reperti archeologici. Terre di «vini eccelsi»,
come verranno chiamati nel Medioevo. E, infine, terre riportate all’attenzione
del mondo a partire dal dopoguerra, dopo secoli di povertà e abbandono. Merito
di alcuni viticoltori pionieri che, in un territorio considerato periferico, si
diedero anima e corpo a recuperare la millenaria vocazione dei luoghi,
dimostrando che le vigne di Scansano avevano ancora molto da dire.
FATTORIA LE PUPILLE
Tra le avventure più significative della Maremma, Fattorie
Le Pupille merita una menzione speciale. Fu Alfredo Gentili, detto «Fredi», a
fondare l’azienda a Pereta, negli anni ’60, ereditando da parte materna «Le
Vecchie Pupille»: così erano chiamati i due casolari che dominavano la zona.
Tra campi di grano, pascoli e uliveti, Alfredo curava personalmente due ettari
di filari, i cui vini, stagione dopo stagione, crescevano in notorietà proprio
negli anni in cui il Morellino di Scansano (la denominazione è del 1978)
muoveva i primi passi.
Nel 1985, Le Pupille passarono a Elisabetta Geppetti, nuora
di Alfredo, che lasciò gli studi in lettere per dedicarsi al vino. Una sfida
«totalizzante», come racconta, perché condotta in un’area vitivinicola ancora
tutta da “scoprire”. Elisabetta specializzò l’azienda sulla produzione
vitivinicola seguendo una strada molto personale, improntata sugli esperimenti
del suocero e i consigli, tra gli altri, di Giacomo Tachis, Riccardo Cotarella e Christian Le Sommer. Il sangiovese, vitigno tradizionale toscano, veniva utilizzato in
blend con varietà come Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Petit Verdot
e Syrah, vitigni bordolesi che sulle colline di Scansano avevano trovato una
particolare vocazione. Ma le varietà bordolesi potevano essere utilizzate anche
senza sangiovese, per produrre vini dal carattere così definito e opulento che,
pur rompendo con la tradizione, ne davano inizio ad un'altra.
SAFFREDI, IL PRIMO SUPERTUSCAN

È il caso di Saffredi, etichetta
icona di Fattoria Le Pupille, forse il vino che più di ogni altro ha portato la
Maremma toscana all’attenzione del mondo. Saffredi è un blend di Cabernet
Sauvignon, Merlot e Petit Verdot cresciuti sulle arenarie dell’omonimo vigneto
di Pereta, amorevolmente dedicato da Elisabetta Geppetti ad Alfredo Gentili.
Solo varietà internazionali, niente sangiovese. Un’eresia? Forse per l’Italia.
Ma quando esce sul mercato, nel 1987, Saffredi stupisce il resto mondo. Assieme
a un pugno di altre etichette (Sassicaia e Tignanello, per citare le più
famose) Saffredi apre letteralmente la via dei «Super Tuscan», il cui battesimo
è attribuito a Robert Parker in persona. «Tuscan» perché vini nativamente
toscani; «Super» per il loro carattere austero: gusto pieno, incredibile
longevità, struttura imponente.
Ad oltre 30 anni dalla prima
vendemmia Saffredi continua ad essere il simbolo di una innovazione che è
diventata tradizione: un’intuizione “privatissima” che si è trasformata in
ispirazione “collettiva”, oggi alla base della stessa viticoltura toscana.